venerdì 21 marzo 2014

riflettendo sulla violenza alle donne

Lo sappiamo: quasi non passa giorno senza che si registri una violenza (uccisione, ferimento) a una donna da parte di un (ex o quasi ex) fidanzato o marito. Questo fenomeno, un tempo rarissimo, ha spinto a coniare un neologismo: femminicidio.

 Qualcuno (penso alla nuova bussola quotidiana) lo contesta, pensando che enfatizzando troppo la violenza degli uomini sulle donne si danneggi l'ordine naturale che vuole comunque l'eterosessualità e il maschio come in qualche modo superiore alla donna.
 Però è un fatto che il fenomeno esiste, ed è inutile cercare di censurarlo. Bisogna invece cercare di capirne le cause. Ne vediamo almeno due.

 1) Anzitutto ci viene da pensare che i femminicidi e le violenze fatte a donne che hanno lasciato o stanno per lasciare il loro uomo siano un frutto della solitudine: se quel rapporto appare assolutamente insostituibile, indispensabile (così che chi cerca di privarcene deve essere punito col massimo della pena), è anche perché manca una rete di amicizie che sostenga la persona e contestualizzi adeguatamente quel rapporto.
 2) In secondo luogo la violenza degli uomini sulle donne che li lasciano è frutto della incapacità di sopportare il sacrificio, la sofferenza, il che a sua volta è frutto della attuale scristianizzazione, che rende inaccettabile la croce.

 Se è così non basterà un inasprimento della legge, che pure ci può stare, per fermare il fenomeno. Occorre ritrovare, se possibile nella fede o almeno in una sincera nostalgia di essa, aperta ad essa, un modo di vivere più umano.